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Oblivion - Recensione

10/04/2013 | Recensioni |
Oblivion - Recensione

La nostra terra è un luogo per cui vale ancora la pena combattere?
Alla domanda prova a rispondere Tom Cruise nei panni di un sopravvissuto della razza umana che si trova a lottare per salvare quel che resta del nostro pianeta.
Lo fa in Oblivion, avventura epica e fantascientifico-tecnologica girata da Joseph Kosinski (qui alla sua seconda regia dopo Tron: Legacy) con evidente dispendio di mezzi.
Siamo nel 2077. In tuta grigia e alla guida di una navicella iper-futuristica, Jack Harper (Cruise) è uno degli ultimi riparatori di droni operanti sulla terra che ormai è stata evacuata. Mancano solo due settimane, poi dovrà abbandonare definitivamente il pianeta. In questo tempo limitato deve recuperare dalla superficie terrestre le poche risorse vitali che restano dopo che la terra è stata segnata da decenni di guerra contro la minaccia di alieni dalla forza distruttiva. Jack è quasi alla fine della sua missione, poi raggiungerà gli altri umani sopravvissuti su una colonia lunare lontana. Perlustrando i cieli e scendendo sulla terra solo per operazioni mirate sui droni, Jack si trova di fronte a qualcosa di imprevisto: salvare una bellissima straniera (Olga Kurylenko) prigioniera di una navicella precipitata davanti ai suoi occhi. Dopo averla portata con sé nella sua residenza sospesa nei cieli (Skytower) dove vive con la sua assistente Vika (Andrea  Riseborough), Jack si accorge che l’arrivo di questa donna dà il via a una serie di eventi che lo mettono davanti a sconcertanti verità sulla sua visione del mondo e del suo passato sulla terra.
Il film è tratto da una storia breve scritta dallo stesso Kosinski nel 2005 che, qualche anno dopo, grazie ai produttori Barry Levine e Jesse Berger divenne una graphic novel sotto forma di “ashcan copy” (un artefatto realizzato per mantenere i diritti legali). Questa storia ha rappresentato il trampolino di lancio del film perché, distribuita durante il Comic-Con Internazionale di San Diego nel 2010, ha incontrato subito grande interesse. E il passo per scrivere una sceneggiatura per il grande schermo è stato breve, complici gli studios hollywoodiani.
A prima vista gli ingredienti classici del genere fantasy-catastrofico ci sono tutti: gli alieni cattivi (Scavenger) che hanno mandato in rovina il nostro ecosistema, i superstiti della razza umana costretti a trasferirsi nello spazio su colonie costruite su Titanio dopo aver sfruttato tutte le risorse rimaste sulla terra per realizzare (le solite) stazioni orbitanti. Ma, qui viene il bello, arriva il nostro pilota-tecnico-soldato che, proprio da una navicella precipitata dall’alto, scoprirà l’ignoto: di cosa si tratta preferiamo non riferire, per mantenere la sorpresa. Ma non possiamo non notare che la storia, nel suo procedere, mostri un po’ il fiato corto presentandosi come un insieme di cose già viste per chi è abituato a percorrere i territori della fantascienza cinematografica. Con qualche messaggio pseudo-ecologico (gli umani erano stati costretti ad usare il nucleare nella guerra contro gli alieni distruggendo così il pianeta) e tante citazioni a un capolavoro come Blade Runner. Ma si frulla anche di più nel bicchiere, da Alien a Star Trek, fino un pizzico del vecchio Mad Max.   
I punti di forza del film sono nell’aspetto puramente visivo: le ambientazioni, i corredi hi-tech, le armi, i mezzi di trasporto. La meraviglia più abbagliante resta quella residenza sospesa chiamata Skytower: perfetta, ultra-tecnologica, levigata, con i suoi colori freddi, le superfici trasparenti, torre d’avorio che contrasta con il mondo sottostante, devastato e (in apparenza) deserto.
E poi altre magie tecnologiche: la navicella Bubbleship su cui viaggia il nostro eroe, i pericolosi droni meccanici dotati di armi laser, lo space shuttle Odyssey, la motocicletta futuristica.
La preparazione di Kosinski in materia di architettura (in cui si è laureato con un master) e design è più che evidente. Come la sua esperienza nell’universo dei videogames. Il film è fatto di epifanie, esplosioni visive, deflagrazioni magnifiche, condito da un cast di alto livello che vede, oltre a Cruise ormai avvezzo a certi scenari tra fantascienza e mission (quasi) impossibili, la bellissima Olga Kurylenko, la bella (e più espressiva) Andrea Riseborough, il grande Morgan Freeman in un ruolo-chiave (vedrete perché) e l’astro in ascesa Nikolaj Coster-Waldau (lanciato dalla serie TV Trono di spade e recente interprete dell’horror La madre).
Un film di grande impatto visivo (girato con una speciale risoluzione digitale 4K), fatto prima di tutto di immagini, ma poi? Qualcosa latita, al di là delle grandi traiettorie percorse dal suo protagonista (soprattutto nella prima parte con tutto quel moto ascendente e discendente): uno spazio per la coscienza, solo presente in alcuni rapidi cenni o sguardi, un approfondimento per interrogativi un po’ più veri. Lo spazio per la nostra cara terra, per il valore della memoria, è relegato ad alcune sequenze che strappano un sorriso all’epica (altrimenti solenne) di un eroe che solo a tratti vorrebbe essere nostalgico, tra vecchi libri pieni di polvere, antiquati dischi in vinile (tra la collezione è inquadrato di sfuggita un album dei preistorici Duran Duran) e villette in riva al lago. Ma forse umorismo e commozione non sono richiesti a una megaproduzione sci-fi che deve solo abbagliare con il suo corredo ipertecnologico.

Elena Bartoni

 


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